Gioie e dolori del docente
digitale
Insegnare nella Scuola Digitale per Competenze
richiede competenza tecnologica, ma soprattutto competenza didattica,
conoscenza dei nuclei fondanti della propria disciplina, capacità di creare
percorsi formativi flessibili ed efficaci, capacità di coinvolgere gli studenti
nelle attività didattiche in classe affinché si creino i presupposti per l’apprendimento
costruttivista, il cooperative learning e lo sviluppo delle competenze
trasversali oltre a quelle disciplinari. Il docente diviene accompagnatore e tutor
di riferimento, senza mai delegare la responsabilità delle scelte formative
alla base della progettazione didattica dei percorsi di apprendimento. Non è
poco, né ciò è semplice da realizzare. Inoltre, non sempre studenti e famiglie
apprezzano il cambiamento dalla didattica frontale: incredibile, ma vero!
Uscire dal bozzolo rassicurante del “si è sempre fatto così” non è facile per
nessuno: docenti, studenti, genitori, dirigenti.
La formazione è
cambiata: cambiamo la formazione
Per indagare su come cambino le necessità formative è utile
partire dalle classiche cinque domande dei giornalisti:

Cosa insegnare?
Competenze disciplinari ed interdisciplinari: al grido di “lo chiede l’Europa”
(o il mondo) ormai tutti i Dipartimenti nazionali di formazione puntano sulla
trasversalità degli apprendimenti e cercano di adeguare le indicazioni
nazionali ed i curricula disciplinari alla didattica per competenze, in
ottemperanza alle richieste europee per il 2020, dopo il fallimento dei
traguardi previsti per il 2010 dalle indicazioni di Lisbona del 2006.
Chi insegna? il
docente digitale, l’insegnante
2.0 .
Chi apprende? Il
nativo digitale, che tuttavia non sempre è così “digitale”: sono in atto molte
discussioni fra critici (per
favore non chiamateli nativi digitali) ed entusiasti. In realtà molti
ragazzi, anche delle superiori, sanno ben utilizzare gli smartphone per
chattare, fare foto e leggere la posta ( i social sono un po’ in declino), ma
se si chiede loro di documentarsi in internet o muoversi in ambienti di
apprendimento organizzati trovano difficoltà anche solo ad accedere.
Quando? Dove? Anytime
& Anywhere! Non si può prescindere
dall’ampliamento spazio-temporale delle opportunità, modalità e risorse di
apprendimento che la tecnologia e la rete mettono a disposizione.
Perché? Per
essere cittadini del mondo, in una società globalizzata e tecnologicamente
avanzata.
La didattica non può più limitarsi allo svolgimento del
“programma” ministeriale sul libro di testo in adozione. La didattica diviene una metodologia
progettuale, una
metodologia per formare i giovani alla resilienza, alla capacità di interagire
sempre più consapevolmente ed efficacemente con la complessità del mondo
esterno e di reagire alle sue sollecitazioni, non sempre positive. Occorre formare alla capacità di resilienza in un
ambiente di apprendimento nel quale si trovi spazio per la creatività e l’interazione
fra pari per lo sviluppo consapevole dell’apprendimento personale; un ambiente
rispettoso ed etico nel quale si possa lavorare con un pizzico di allegria e dove
sia favorito lo sviluppo dello spirito di iniziativa e l’indipendenza.

Utilizzare le
tecnologie non basta
Sono decisamente scettica se qualcuno propone le tecnologie
come panacea per risolvere tutti i problemi. Le tecnologie
sono solo strumenti: sono mezzi e non fini.

Grande cambiamento? No di certo!
Non è la tecnologia a fare la scuola delle competenze. “Prima” si scriveva rielaborando i contenuti,
“dopo” si millanta per miglioramento dell’apprendimento il fare una foto al contenuto della lavagna. Si noti come
nella foto la classe è frontale sia “prima” che “dopo”: quale è dunque il cambiamento?
La didattica e l’apprendimento cambiano solo cambiando
radicalmente il modo di fare lezione. Le tecnologie vanno utilizzate
esattamente come si fa con i codici (code) in una buona codificazione (coding):
la codificazione è realizzata dalla creatività del programmatore, che la
sviluppa a partire dalla peculiarità del codice stesso, allo scopo di
raggiungere gli obiettivi e/o funzionalità richiesti. Saper utilizzare bene le
tecnologie è importante, ma solo per sfruttarne adeguatamente le potenzialità
per raggiungere più facilmente gli scopi prefissati e semplificarsi la vita. (cfr.
Intervista: Tecnofila,
tecnofoba ed anche un po’ tecnoscettica ) .

Individuare
l’essenziale per comprendere la complessità
Nella scuola digitale è necessario individuare l’essenziale,
partire dai nuclei fondanti disciplinari e dalle competenze di cittadinanza da
sviluppare per portare gli studenti a comprendere la complessità, facendo uso
delle tecnologie più adeguate ai diversi casi:
·
Concentrarsi sul contenuto
·
Pedagogia della padronanza
·
Cambiare le abitudini
·
Problem solving in aula
·
Gioco e sviluppo della creatività
(Salman Khan – La scuola in rete, 2012)
I metodi della didattica attiva, la flipped classroom,
l’Innovative Design dei percorsi formativi (http://www.innovazioneinclasse.it/
) il costruttivismo, l’apprendimento cooperativo per la costruzione
collaborativa della conoscenza cambiano alla radice il modo di fare scuola: i
banchi si girano, i ragazzi si guardano negli occhi ed interagiscono tra loro
seguendo le attività volte al raggiungimento degli obiettivi cognitivi
progettate per loro dai docenti. Meglio se progettate in modo collegiale dai
Consigli di Classe per assicurare la trasversalità degli apprendimenti
disciplinari e potenziare le competenze di cittadinanza mediante prove
autentiche, cioè compiti complessi articolati in aspetti plurimi.
Interessante la statua della
foto: con la luce non si capisce, ma al
buio prende significato!
Statua del Seminatore di
stelle (Kaunas, Lituania)

… Seminatore di stelle!
“Non ho mai insegnato nulla ai miei studenti;
ho solo cercato di metterli nelle condizioni migliori per imparare. “
(Albert Einstein)
Il
significato dell’Insegnamento è accompagnare gli studenti alla soglia della
propria mente, perché scoprano in sè la conoscenza, la gioia di imparare ad
imparare, acquistino competenze nuove e personali per risolvere problemi.
Uscire dalla “zona di
comfort”
Ogni apprendimento ha come presupposto il cambiamento, per
fare spazio all’acquisizione di nuove abilità e conoscenze. La crescita
richiede apertura al nuovo e la voglia di mettersi in gioco: rimanere entro la
zona di comfort delle sicurezze acquisite non è sempre positivo. La Società
liquida richiede una formazione adeguata a richieste sempre più complesse e
pressanti; di conseguenza la Scuola liquida richiede a docenti, studenti e
famiglie lo sviluppo di capacità reattive adeguate a tale complessità.

Alla base dell’uscita dalla “zona di comfort” per tutti i
protagonisti della Scuola liquida ci sono la condivisione e l’informazione, le
nuove metodologie e la tecnologia, la fiducia nei docenti innovatori,
l’accettazione del rischio della sperimentazione di nuove forme di
apprendimento, il considerare l’utilizzo delle risorse digitali e della Rete
come una valore aggiunto e non come un pericolo.
Genitori (e docenti) spesso sono restii a dare fiducia ai
ragazzi che apprendono ed a lasciare spazio allo spirito di iniziativa e creatività:
sicuramente non è usuale a scuola procedere senza incanalare l’azione didattica
sulle ricette preconfezionate, legate solo al “programma” ed all’utilizzo del
libro di testo. Spesso sono gli studenti stessi a chiedere “Prof. ci dice esattamente tutti i passaggi per fare
l’esercizio?” oppure (peggio!): “Prof, ma lei
come vuole che le ripetiamo questo concetto?” E’ un gap da superare.
Le tecnologie sono risorse preziose per lasciare più spazio
all’autonomia dei studenti. Le attività sono progettate e si svolgono in un
ambiente “protetto” tramite le indicazioni e le consegne che vengono assegnate.
I ragazzi gradiscono ed imparano facilmente l’utilizzo delle tecnologie e ciò dà
loro una maggior fiducia in se stessi anche per quanto riguarda la capacità di
elaborazione degli argomenti disciplinari. Spesso si crea una sorta di effetto
“alone” anche per argomenti trattati in maniera più tradizionale, che comunque
vengono studiati ed assimilati con più facilità di prima.
Chi ha paura della
tecnologia cattiva?

Purtroppo l’atteggiamento di alcuni genitori verso la
tecnologia può divenire un punto critico.
Molti di loro sono piuttosto indifferenti all'educazione
alla presenza su internet dei figli. Ciò è grave perché evidenzia il fatto che non si
comprende che il mondo virtuale affianca sempre più quello reale e non è
opportuno lasciare i ragazzi da soli in rete.
Altri genitori pensano addirittura che sia meglio tener
fuori i figli dai pericoli e vietano d’autorità l'accesso! come se i ragazzi non
navighino con gli smartphone dove vogliono e quando vogliono. E' un argomento
piuttosto importante e delicato, che merita sicuramente approfondimento: non è
a caso che l'Europa punti sulle competenze tecnologiche: usare internet per
informarsi e formarsi è sicuramente una priorità per diventare cittadini
consapevoli e responsabili.
A volte a scuola si può creare dissenso verso i "metodi"
dell’insegnante innovatore (consistenti anche solo nell’utilizzare una mailing
list per l’assegnazione di alcuni compiti o fornire link a risorse o filmati da
vedere a casa) perché si sostiene che "disorientano i ragazzi". Altre
volte accade che i ragazzi stessi facilmente adducano generici “problemi di
connessione” per giustificare la propria mancanza di puntualità nelle consegne o
nello svolgimento dei compiti assegnati. Per lavorare con le tecnologie è
necessaria una buona misura, colma e pigiata, di senso di responsabilità.
E' quindi opportuno condividere le scelte ed avere ampi
consensi, prima di proporre a tutta una classe qualcosa del genere. Meglio se
ciò è accompagnato da una condivisione con tutto il consiglio di classe, ove
possibile, e dal beneplacito della Presidenza.

L’azione sinergica è importante
C’è da
sottolineare come la solitudine spesso accompagni i docenti innovatori.
Purtroppo
l’atteggiamento tecnofobo è ancora molto diffuso negli ambienti scolastici. Molti
docenti in servizio da anni si scoraggiano davanti al “tempo in più” che tale
utilizzo richiede. Non a torto, visto che l’aggiornamento professionale non è
riconosciuto, a meno di non seguire costosi master universitari in cambio di
crediti.
Non sempre nel
proprio istituto i docenti più aggiornati trovano attivate modalità operative e
procedure scolastiche che favoriscano l’innovazione. Se ciò si unisce ai molti
problemi tecnici strutturali, di mancanza di esperti tecnici di laboratorio, di
mancanza di connessione adeguata, il risultato può divenire scoraggiante.
Chissà se la
“buona scuola” e l’anno che viene non porterà veramente incentivi ed
incoraggiamento a chi da anni si batte per l’innovazione e l’adeguamento della
didattica alle richieste formative necessarie per imparare a vivere e lavorare
nel XXI secolo?
Con questo
augurio saluto i tanti docenti 2.0, digitali, innovativi, instancabili ed
appassionati del proprio lavoro!

Insegnare nella Scuola Digitale per Competenze richiede competenza tecnologica, ma soprattutto competenza didattica, conoscenza dei nuclei fondanti della propria disciplina, capacità di creare percorsi formativi flessibili ed efficaci, capacità di coinvolgere gli studenti nelle attività didattiche in classe affinché si creino i presupposti per l’apprendimento costruttivista, il cooperative learning e lo sviluppo delle competenze trasversali oltre a quelle disciplinari. Il docente diviene accompagnatore e tutor di riferimento, senza mai delegare la responsabilità delle scelte formative alla base della progettazione didattica dei percorsi di apprendimento. Non è poco, né ciò è semplice da realizzare. Inoltre, non sempre studenti e famiglie apprezzano il cambiamento dalla didattica frontale: incredibile, ma vero! Uscire dal bozzolo rassicurante del “si è sempre fatto così” non è facile per nessuno: docenti, studenti, genitori, dirigenti.